Come Boateng, prima di Boateng. I cori razzisti riservati al giocatore ghanese da una frangia dei tifosi della Pro Patria (la storica squadra di calcio di Busto Arsizio) hanno un precedente meno illustre, ma non meno grave. Il caso mediatico sollevato dal "caso Boateng" ha portato alla luce un "caso Tataranni" che risale al 29 dicembre scorso, ultima partita di serie A1 del 2013. Tataranni, dopo avere segnato un gol, si era rivolto platealmente a una parte di supporters giallorossi per zittirli, dimostrando di non gradire le critiche a lui rivolte durante la partita. Nel finale di gara anche l'allenatore Pino Marzella si era lasciato andare a qualche parola di troppo nei confronti degli stessi supporters (va detto con chiarezza: poche unità in un palazzetto con centinaia di persone).
La cosa era stata rapidamente archiviata come effetto del carattere esuberante che accomuna Tataranni e Marzella, con conseguente corollario sul rispetto che si deve al pubblico che paga il biglietto e che ha tutto il diritto di criticare giocatore e allenatori. Al punto che la società era già pronta a multare i due per comportamento non conforme al codice etico della società.
Tutto è cambiato a metà della scorsa settimana quando allenatore e gioatori (lo spogliatoio del Lodi al gran completo) hanno sottoscritto e reso pubblico un documento nel quale mettevano, nero su bianco, che i gesti di Tataranni e Marzella altro non erano se non la risposta stizzita a chi aveva gridato loro per tutta la gara quel "terrone" che va molto al di là del diritto di critica del pubblico pagante.
Sulla scia del "caso Boateng" la notizia ha avuto così tanto risalto da finire sulla Gazzetta dello Sport, accomunando l'hockey su pista alla parte peggiore del calcio.
Riflettano quei pochi cretini che dalla tribuna non hanno trovato nulla di meglio che prendersela con l'origine geografica dei loro beniamini. E lo facciano anche tutti quelli che lo stesso epiteto (o altri simili) li usano su altre piste nei confronti dei loro avversari. Lo sport (e l'hockey su pista) non ha nulla a che vedere con il razzismo