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Successo e crisi dell'hockey spagnolo chiudo nei confini stretti della Catalogna


Enrico Acerbi ci accompagna in un interessante viaggio all'interno dell'hockey spagnolo, alle radici di un dominio mondiale durato un decennio che non è bastato per togliere all'hockey su pista iberico i connotati di sport più catalano che nazionale.

Scritto da Enrico Acerbi - Pubblicato il 18/12/2012 - 14:58 - Ultima modifica 28/12/2012 - 14:36

Harro Struckberg (a sinistra) e Carmelo Paniagua (a destra).

Foto Marzia Cattini

Da ragazzo a scuola mi fecero versare fiumi di lacrime nel vedere un film di Vajda del 1955. Era “Marcellino pane e vino” (Marcelino pan y vino), presentato in concorso all'8º Festival di Cannes, il cui protagonista era un ragazzino di sei anni, Pablito Calvo, spagnolo. Fu la prima immagine della Spagna, che mi rimase impressa. Oggi, volendo parlare della Spagna hockeystica e stante la crisi economica (rende costoso anche il comune vino da tavolo), mi viene a mente un “Marcellino Pan y Agua” (pane e acqua), che tosto trasformo in Carmelo Paniagua. Chi è?
Paniagua è il presidente uscente della RFEP (Real Federacion Española de Patinaje), che recentemente ha vanamente tentato di assumere la leadership dell’hockey mondiale, al CIRH, dove invece è stato riconfermato l’uscente Harro Struckberg, tedesco. L’esperienza è stata traumatica; immaginate di perdere al Golden Goal una partita, fallita per un solo voto a favore di chi è stato appoggiato dalle nazioni hockeysticamente meno evolute (Francia esclusa). Soprattutto è stata traumatica considerando che il teutonico in quattro anni ha lasciato andare alla deriva l’hockey pista, fallendo importanti obiettivi come lo svolgimento dei Mondiali in Mozambico e facendo spallucce alla scissione dell’hockey argentino.
Paniagua affermava: “Dal 1992 (unico anno olimpico dell’hockeypista) l’hockey ha continuamente perso importanza a livello internazionale, i paesi praticanti sono calati, ci sono state mancanze nelle organizzazioni di eventi internazionali, senza clamore, senza inversioni di tendenza, senza adattarsi ai tempi in cui viviamo. Possiamo dirlo allora! Il nostro sport è gravemente malato.”
Il suo programma (lui era un portiere di hockey credo) non era originalissimo ma molto chiaro: creare una struttura professionale per gestire l’hockey mondiale, avvalendosi delle tecnologie moderne (Internet) e dei media (TV), aumentare il numero dei paesi praticanti appoggiando lo sviluppo dello sport e creando una rete mondiale per la diffusione dell’hockey pista nelle scuole e infine creare un Dipartimento del marketing per finanziare lo sport con accordi con le imprese che producono attrezzature. A ben guardare più o meno erano gli stessi propositi di Struckberg, solo che il tedesco li aveva già promessi quattro anni fa, arrivando, dicono, a risultati diametralmente opposti.

I successi spagnoli nel nostro sport e la loro organizzazione avrebbero consigliato di dare una chance a Paniagua; invece, come in ogni classico consesso politico, sono prevalse le logiche clientelari (come, ad esempio, assegnare il mondiale 2015 alla Francia – sostenitrice di Struckberg , invece che all’Italia, costringendo a rivedere il termine “progetto 2015” in “progetto che doveva essere 2015”).Ciò detto vediamo quanto c’è di vero in questa asserita leadership spagnola.
La Spagna, che non conosceva il sapore della sconfitta dall’ottobre 2003, almeno sino ai recenti Europei U20 di St.Omer e ai mondiali femminili vinti dalle francesi, ha colezionato sei titoli europei consecutivi (da 2000 a 2010), quattro Mondiali consecutivi (da 2005 a 2011); il record storicamente sarebbe inglese con 12 europei consecutivi tra il 1926 e il 1939, ed è anche uguagliato dai portoghesi (quattro Mondiali consecutivi dal 1947 al 1950 e dal 1956 al 1962).
Di fatto, nel nuovo millennio dell’hockey, solo il Mondiale di Oliveira de Azeméis non ha visto le “camisetas rojas” al primo posto. Non parliamo poi delle squadre di club. Solo il nostro Follonica (2006) ha interrotto le vittorie spagnole in Eurolega, proseguite imperterrite sino al 2012 e iniziate nel 1991.
La Spagna è il paese che vanta più Club del mondo (più o meno 220 società) oltre a circa 20.000 praticanti. Una macchina da guerra davvero invincibile. Il loro successo può essere sintetizzato in due parole: organizzazione e innovazione, dentro e fuori pista.

L’inizio della decade degli anni ’90 fu significativo per gli spagnoli, coincidendo con una trasformazione nel modo di lavorare degli allenatori e nel modo di formare i giocatori. La protagonista del cambiamento fu, senza dubbio, la coppia dei selezionatori della nazionale di allora: Carles Trullols per la senior e Josep ‘’Catxo’’ Ordeig, per le giovanili. La nuova idea degli allenatori e dei formatori catalani era la seguente: perfezionamento dei movimenti degli hockeysti, tipo dribbling con la palla ecc., e definizione delle posizioni in pista e, per i portieri, studio dei movimenti e del piazzamento in porta; questa teoria dei portieri è sempre stata un pallino dei mister catalani. Inoltre si insegnava ad applicare la tattica alla tecnica, soffermandosi sulle transizioni dalla fase offensiva a quella difensiva (e viceversa), e a curare la fase difensiva. Il vero segreto, tuttavia, era quello di applicare tutti questi processi ai giocatori sin dagli esordi sui pattini, per far in modo che tutta l’evoluzione futura dell’apprendimento fosse più automatica possibile.
Quanto alla pratica e all’organizzazione richiesta da questa innovazione, i club (catalani) decisero programmi a lunga scadenza (es. lo stesso allenatore e la stesa gestione per svariati anni) e comunicazioni tra i vari allenatori (omogeneità nei procedimenti, indipendentemente dai livelli) coinvolti nei processi formativi.
Questo nuovo modo di agire, abbastanza innovativo per le categorie superiori, ha dato i risultati citati sopra, ma non solo. Ha anche fatto sì che il campionato spagnolo diventasse più equilibrato e competitivo (grazie a giocatori mediamente ben addestrati. Ndt. – per esempio ha anche permesso che squadre capolista del campionato portoghese tesserassero, con successo, giocatori appartenenti a squadre di medio livello spagnole – e mai è accaduto il contrario).
Il risultato di questa “révolucion” di sistema, iniziato nei primi anni ’90, generava una serie di nazionali spagnole pressoché imbattibili. Josep ‘’Catxo’’ Ordeig fu selezionatore giovanile tra 1990 e 1993, e tornò a farlo tra il 1997 e il 2000. Tra il 2000 e il 2005 passava al comando della senior spagnola, vincendo tutto, mondiali ed europei (eccetto nel 2003). Tra il 2005 e il 2009 fu commissario tecnico giovanile e juniores, assumendo il ruolo di Direttore Tecnico Nazionale  e allenatore coadiutore di Carlos Feriche nella nazionale maggiore. Carlos Feriche iniziava la sua carriera come allenatore delle giovanili del FC Barcelona, entrando nelle selezioni nazionali giovanili dal 2001. Dal 2004, cioè da quando è il Commissario Tecnico della nazionale senior, non ha perso né europei, né mondiali. Dal 2001 ad oggi i destini delle nazionali spagnoli sono stati retti da soli due uomini.

Possiamo affermare, quindi, che la Spagna sta vivendo la sua decade dorata, successiva a quella portoghese degli anni ’90, dopo aver lanciato giocatori del calibro di Ramón Benito, Alberto Borregán e Iván Tibau; poi Pedro Gil, Guillém Trabal (questi due sono parte del gruppo dei sette giocatori che hanno vinto quattro mondiali a testa), Miquel Masoliver, Lluís Teixidó, Mia Ordeig, Titi Roca, Jordi Bargalló, Marc Gual, Sergi Panadero, sino alle ultime generazioni che hanno proposto gente come Sergi Fernández, Jordi Adroher, Romà Bancells e Marc Torra.


CIGOLII NELLO SCAFO?
Tutto questo ben di Dio potrà durare quanto? Tutto il lavoro fatto attorno alle piste pare seriamente compromesso dalle difficoltà economiche della società civile in genere. La FEP, per promuovere lo sport, era riuscita a far trasmettere una partita di OK Liga alla settimana in diretta (come la RAI da noi), tramite la FEP TV (internet), ma anche in Catalogna grazie a TV3. Ora pare che le trasmissioni siano cessate per mancanza di fondi.
“Non sarebbe giusto chiudere senza fare una riflessione sopra un gran problema che attualmente ha l’hockey: la diffusione in televisione. Dopo tanti sforzi, negli anni passati, si ottenne la trasmissione di una partita al lunedì, nonché un riepilogo delle intere giornate. Non so i dati dei ritorni avuti dall’iniziativa, però credo che i Club abbiano deciso di tagliare il budget e non dovevano farlo. É basilare apparire in televisione, e il ritorno d’immagine non si può valutare in un solo anno, è materia di ben lunga durata. Inoltre c’è un altro problema che meriterebbe maggior spazio di dibattito: chi comanda nei Club?” (Xavi Caldù, giocatore del CP Vilafranca)

Riflettendo sulla televisione. É strano che l’hockey, piaccia o no lo sport più titolato di quelli praticati in Spagna, non abbia echi televisivi. Quanche anno fa, quando il calcio a 5 iniziava i suoi primi passi, fu offerta ai Club di hockey la possibilità di trasmettere una partita ogni sabato a mezzogiorno. All’ora di pranzo? No! Fu la risposta delle società (la maggioranza). Oggi guardate dove è arrivato il calcio a 5 come presenza mediatica e dove siamo noi. La finestra televisiva aperta l’anno scorso si è chiusa. I Club, in maggioranza con gravi difficoltà economiche, forse pensavano di aver rientri economici dopo un anno e si sono rifiutati di pagare oltre. É il dramma di un sport di fatto regionale dove il ritorno pubblicitario non può che essere locale e limitato. Gli stessi Club che parlano di far grande l’hockey, sono i primi a lamentarsi delle spese di trasferta per andare a giocare in altri territori nazionali. Che contraddizione. Sono convinto che un campionato con squadre di Madrid, Andalusia o Paesi Baschi, avrebbe una maggiore ripercussione mediatica. Nel frattempo, però, perché non si continua a lottare per riavere la partita del lunedì almeno in Catalogna e, tramite la web federale, nel resto di Spagna?”. (Jordi Martì, giornalista di Canal Blau)

Il sito Internet della FEP è costantemente aggiornato e riporta informazioni su tutti i campionati. La federazione qui ha impostato un ottimo lavoro. Lo stesso non vale per i siti dei Club, scarsamente aggiornati (il Barcellona a fine 2011) e vuoti che dimostrano una predilezione per mezzi web più agili come Twitter o Facebook.
Altro fiore all’occhiello della FEP è la costante promozione di Campus e Stages di hockey, dove i giovani possono conoscere ed apprendere tecniche dai migliori giocatori in attività o meno. Molti sono anche gli accordi con altre federazioni per scambi fatti allo scopo di diffondere l’hockey, almeno fino a che ci saranno fondi: Argentina, Angola, Ecuador, Brasile, Mozambico e Colombia già beneficiano della possibilità di disporre di allenatori catalani.
Lo scafo però scricchiola a causa della carenza di fondi. La OK Liga in Spagna è una prima divisione semiprofessionista, dove soltanto i Club nelle prime posizioni possono definirsi “professionali”. La loro Primera Division (di fatto la A2 o Seconda Divisione spagnola) è rimasta con 12 squadre (4 in meno dell’anno scorso) ed è un campionato paradossalmente disputato da Club di tutta la nazione con le maggiori spese di trasferta, rispetto all’OK Liga dove 14 squadre sono catalane e due (Alcoi e Liceo) no.

“La crisi affligge tutti gli sport e a maggior ragione uno sport definbile come minoritario. L’attuale crisi è stata la causa principale degli stenti dell’attuale stagione: 2013. Tutti hanno fatto fatica a completare le rose dei giocatori. I Club hanno quasi tutti scelto la strada della riduzione degli ingaggi sia di giocatori sia di allenatori. Le “plantillas” sono state completate da giovani atleti ed è stato assai difficile, anche perché la crisi di fondi colpisce anche le nostre “canteras” (vivai). Mancando la quantità finisce che manca la qualità. Quanti Club possono vantare di avere una rosa fatta per il 50% di giocatori del proprio vivaio? Quante volte abbiamo sentito la frase: Non nascono buoni giocatori?.
La crisi sta anche nel basso livello emotivo del campionato, se considerate quante e quali squadre l’hanno vinto negli ultimi 25 anni: le solite. Siamo assai compiaciuti perché vinciamo di tutto e di più senza tener presente che i nostri storici avversari sono calati paurosamente di livello. Dove sono oggi i vari Ramalhete, Xana, Livramento, Martinazzo, Agüero, ecc.?
La crisi si vede anche nel pubblico. Qui addirittura pare affliga soprattutto l’hockey pista. Non sarebbero meglio prezzi popolari allora e promuovere l’afflusso delle tifoserie ospiti? Diciamocelo, ormai sono anni che dura questa crisi e che traccheggiamo per passare annata dopo annata. La cosa grave è che tutti sembrano rassegnati e privi di idee per migliorare!” (Alberto Pons, allenatore nazionale di hockey)

La società in generale è afflitta da una crisi economica e questo si riflette su una delle referenze sociali più importanti: lo sport. Il calo delle risorse segnerà il destino dei Club e lo stiamo già vedendo con il ricorso ai ragazzi delle “canteras” ed al ripescaggio di giocatori che avevano smesso.” (Carlos Figueroa, tecnico di hockey)

“Il Reus s’è imbarcato in un progetto romantico e rischioso. La mancanza di liquidità economica ha causato la partenza dal Club di giocatori del calibro di Negro Páez, Xavi Caldú e Jordi Ferrer. I rossoneri, insomma, non sono sfuggiti alla generale miseria e nessun rinforzo è arrivato da fuori. Nessun nome “mediatico” ha rafforzato la squadra. I nuovi ingaggi arrivano dalla “cantera”, anche se qualcuno è decisamente promettente: Joan Salvat, Xavi Rubio, Pol Pàmies e Marc Ollé completano una “plantilla” che mantiene cinque titolari da spremere come Guillem Trabal, Albert Casanovas, Jordi Molet, Raúl Marín e Jordi Adroher. Il campionato poi non sarà lo stesso senza geni come Caldú o la leggenda Borregán. Nulla sarà lo stesso senza di loro.” (Marc Libiano, giornalista del Diari de Tarragona)

Un altro problema che afflige l’hockey iberico è senza dubbio la fuga, non dei cervelli, ma diremmo delle stecche, verso campionati minori (Francia, Svizzera, Germania ecc.) dove l’hockey ancora possiede qualche respiro finanziario. Purtroppo la spregiudicatezza di alcune dirigenze italiane non ha pubblicizzato molto la nostra Serie A1 in Spagna (uno su tutti il caso Fermin Ortega, portiere a Molfetta), fatta eccezione per alcuni accasamenti felici in Toscana.

“Dopo sufficienti presenze in quello che considero il miglior campionato del mondo, ho deciso di avventurarmi in una nuova e appassionante esperienza. La “crisi economica” di alcuni Club, la ricostruzione di alcune rose giocatori, o forse solo il desiderio di provare nuovi orizzonti, mi hanno traghettato verso un nuovo Club, un nuovo paese. Per questo oggi gioco in Francia. 
Non ho rimpianti “Mucha suerte a todos y hasta pronto! O come dicono qui in Francia A bientôt!”. (Borja Lopez, giocatore del La Vandéenne)

Solo il tempo potrà dire se le attuali scelte si riveleranno vincenti, anche se è chiaro che, in un generale declino dell’hockey mondiale, quello che ancora possiede la miglior qualità potrà ancora raggiungere i migliori risultati, magari rischiando di più.
Il rifacimento delle rose giocatori con i giovani dei vivai, intanto, non pare incontrare l’approvazione dei tecnici.

“Premetto che il campionato a 16 squadre non mi piace. Può aumentare la competitività della stagione ma non ne aumenta la qualità del gioco. Salvo eccezzioni che si contano sulle dita di una mano, i Club continuano a non far giocare i giovani. La domanda è: mancanza di qualità o paura di rischiare? La risposta? La diano i tecnici!” (Jordi Martì, giornalista di Canal Blau)


LA CATALOGNA: MADRE DI TUTTI I PROBLEMI SPAGNOLI?
La trasferta più lunga di una squadra catalana che parta da Barcellona è La Coruña (1104 Km), poi c’è Alcoi (483 km). In media la distanza da percorrere è di circa 79 km per tutte le altre sedi dell’OK Liga. Una squadra italiana del Nord (es. Valdagno) ha come trasferte più lunghe, al sud, Giovinazzo (834 Km) e Matera (903 Km), mentre la distanza media per raggiungere le altre sedi di A1 è di 218,5 Km. Il Barcellona all’anno percorre 2615 Km, contro i 4140 del Valdagno; ovviamente le spese di trasferta sono molto minori nella lega spagnola per lo storico paradosso: la OK Liga non è spagnola... ma catalana.
Di fatto non è possibile catalogare quel campionato come spagnolo; 14 squadre su 16 sono catalane e su 42 edizioni della OK Liga ben 36 sono state vinte in Catalogna. Se la FEP vanta circa 20.000 praticanti l’hockey, 15.000 di questi sono catalani. Questo squilibrio geografico annoso (solo in Galizia e nelle Asturie si gioca hockey) ha generato lustri di diatribe politico-sportive.
Il 27 marzo 2004 la federazione catalana (FCP) fu riconosciuta ufficialmente dalla FIRS come federazione indipendente, formando anche una nazionale che andò ai mondiali B, ovviamenti sbaragliando tutti. Da “nazione” vincitrice fu quindi ammessa a giocare il Mondiale Senior 2005 a San Josè, Stati Uniti. Fu allora che lo Stato spagnolo fece pressioni sulla FIRS per non far partecipare la squadra catalana ai Mondiali. Passato il torneo la FCP fece ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport chiedendo l’annullamento dell’assemblea FIRS che aveva di fatto proibito la partecipazione ai Mondiali e chiedendo anche la ripetizione del voto. Stavolta però la votazione FIRS andò male e la Catalogna non fu più riconosciuta. Oggi, nel caos delle stranezze dell’hockey, la Catalogna (FCP) è una federazione considerata indipendente dall’America Latina (dove dal 2006 partecipa regolarmente a competizioni organizzate dalla CSP – la confederazione sudamericana di pattinaggio); la cosa dà fastidio a molti... non catalani.

Fatta eccezione per qualche praticante a Madrid e nei paesi Baschi, in Spagna si gioca in tre zone: la prima e la capitale dell’hockey mondiale (con il permesso di San Juan, Argentina) è la Catalogna, seguono Galizia e Asturie (Oviedo). A sentire poi qualche protagonista della pista, nelle tre zone, anche il modo di vivere l’hockey è diverso.
La prima differenza è demografica. In Galizia l’hockey si gioca nella provincia di La Coruña (con l’eccezione di Vigo), e la maggior parte dei Club è concentrata attorno a quella città; nelle Asturie la cosa è uguale, tutti concentrati attorno a Oviedo; invece in Catalogna si gioca ad hockey dappertutto. 
La seconda differenza sta nel numero dei praticanti. Dati alla mano in Catalogna il numero dei tesserati e 9-10 volte maggiore delle altre due regioni. Ciò è sicuramente dovuto alla tradizione locale, ma anche alla maggior efficacia dei Club nell’attrarre i ragazzi allo sport. In Catalogna, spesso, atleti e tecnici vanno nelle scuole statali a presentare lo sport, ad esempio. Per queste ragioni è facile vedere le piste di pattinaggio catalane brulicare di bambini che giocano con i pattini. É anche più facile che, là dove ci sono ex giocatori o allenatori di hockey in gran quantità, la possibilità di avviare i ragazzi allo sport sia maggiore. Insomma è un circolo chiuso: dove ci sono più Club e palazzetti, l’attrazione dell’hockey è maggiore.
In Galizia si può assistere ad una partita di OK Liga o Eurolega circa ogni 10 giorni, più o meno, e, nella Primera División Nacional, a calendario ridotto, ogni 21 giorni. Nella Primera galiziana poi il livello non è elevatissimo e sono poche le partite cui vale la pena di assistere. Nelle Asturie è peggio. Ci sono due Club in Primera, ma nessuno in OK Liga, così che le partite di quella zona hanno ancor meno interesse agonistico.
La terra promessa del tifoso di hockey è la Catalogna: ogni settimana ci sono almeno 6 o 7 partite interessanti tra OK Liga e Primera Nacional, senza contare quelle della lega Nacional Catalana (la nostra serie B), di ottimo livello pure. Non è difficile passare tutti i week-end nei palazzetti, con gran dolore di mogli e famiglie non tifose. 

Esiste anche un diverso modo di giocare, a detta di qualcuno. Quando uno pensa a una squadra catalana il primo sostantivo che viene a mente è “efficacia”; sono tutte squadre pratiche, sempre competitive e che sanno gestire bene i minuti decisivi degli incontri. Non ci sono fenomeni in pista, ma sono tutti mediamente molto bravi. perché addestrati sin da piccoli alla gara.
Nelle squadre galiziane o asturiane, invece, a violte si possono vedere giocatori dotati di tecnica eccellente, ma disorganizzati e non sempre capaci di leggere bene le gare. Si ha sempre l’impressione che giocando alla pari con una squadra catalana, alla fine vinca comunque quella.

Anche il vivere hockey è diverso. Nei paesi catalani, quando si attende una partita importante, si sente spesso la gente parlare del match, si vedono tifosi che preparano striscioni e per strada si respira hockey. Vivere alcune rivalità (ad esempio come un Vic-Voltregá o un Vendrell-Calafell) è un’esperienza unica e impressionante; sono situazioni che coinvolgono, partite che iniziano molto prima del fischio arbitrale e che finiscono una settimana dopo. Questo aspetto è stato perso in Galizia e nelle Asturie. Col passare degli anni i Club, là, hanno perduto appassionati e tifosi. Rarissimo poi vedere gente che riempie gli spalti o che segue la squadra in trasferta. Eppure c’era un tempo in cui nelle Asturie si fremeva per i derby tra Mieres, Cibeles e Areces; in Galizia poi molti ancora ricordano la fiera rivalità tra i Dominicos e il Liceo, quando ambedue giocavano nella massima categoria. Ci si domanda che fine hanno fatto quegli spettatori di allora, scomparsi non certo a causa della progressiva perdita di spettacolarità dello sport, anzi. L’opinione corrente è che siano scomparsi perché non c’è più stata gente capace di promuovere l’hockey pista come si deve.

Chiamatela Spagna o Catalogna, comunque si parla della patria dell’hockey pista, una terra dove, nonostante la crisi economica, si cerca di attivare anticorpi per resistere, prima, e per dare ulteriore sviluppo, poi, in tempi più felici e futuri.
L’Italia, che da sempre ha ammirato e invidiato il modello catalano, ha tentato (sta tentando), con un progetto chiamato 2015, di modellare l’organizzazione hockeystica sullo stampo di quella catalana. É un buon progetto ma possiede significative debolezze: è ostacolato da distanze geografiche diverse e maggiori che in Catalogna, non possiede la compattezza dell’intero ambiente, anzi vi sono dirigenze approssimative, che lo picchiano dall’alto (CIRH) e dal basso (Club); non parte, poi, con gli stessi requisiti economici sotto i quali partiva il processo catalano del nuovo millennio.
Napoleone, parlando dell’Austria (sempre battuta) diceva che “L’Autriche est toujours en retard, d'une année, d'une armée, d'une idée.” (L'Austria è sempre in ritardo, di un anno, di un’armata, di un’idea). Noi siamo come l’Austria napoleonica, votati al terzo posto se va bene, sempre in ritardo (di dieci anni), con le nostre armate sfrangiate, che si fanno la guerra tra poveri e con belle idee, che cozzano contro la mancanza di soldi. Un peccato perché l’hockey è davvero un bello sport.

articolo di Pedro Miguel Caldas sul suo blog http://hoqueiem.blogspot.it tradotto e integrato da Enrico Acerbi con l’aiuto di
http://fep.es/blog/okliga/
http://stickazo.blogspot.it

 

Parole chiave: Hockey internazionale, Spagna,
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