A volte vengono certe curiosità, domande cui si può anche fare senza ma che ti rimangono in testa. La mia è: “Come ha fatto una squadra, che in Regular aveva un ritardo di 15 punti, a vincere?”
Riguardando tutte le perplessità che avevo scritto in precedenza mi sono fatto un’idea. Tutto nasce dalla rivolta valdagnese dell’estate 2011, come la canzone di Brian Adams (ma era del 1969 la sua estate).
“Gente noi s’ammazzava il tempo,
eravamo giovani e irrequieti
avevamo bisogno di una scossa
e nulla dura in eterno, proprio nulla ...
Oh già
era l’estate del ‘69”
Valdagno aveva vissuto una rivolta di piazza durante gli anni di piombo. Avevano abbattuto la statua del conte Marzotto, il padrone (anche culturale) del paese.
“... quel pomeriggio, Valdagno abbatté la statua di Gaetano Marzotto e segnó la fine di un’epoca. Quell’episodio significó, per altro, anche la fine della sponsorizzazione diretta della squadra di hockey; mantenne il nome storico di Marzotto, come il Vicenza volle mantenere lo storico marchio della Lanerossi, ma non fu mai piú come era stato prima.”
Nell’estate del 2011, 43 anni dopo, parte dei valdagnesi tornava in piazza, magari per motivi meno vitali. Le manifestazioni pubbliche in questo sonnacchioso paese, democristiano per tradizione, tuttavia erano state cosí rare, che quella di quell’anno, per forza, entrava nella storia: la rivolta per il suo campione di hockey pista.
Un centinaio di persone vocianti erano scese per le strade, facendo saltare il Sindaco dal divano, evocandone l’intervento, e avevano manifestato sotto la casa dell’allora presidente Repele.
Così Carlos Nicolía Heras, di 25 anni, rimase da noi, al Valdagno.
La squadra era allenata da Gaetano Marozin, un tecnico preparato del giro delle nazionali, ma che non “scaldava” i cuori della piazza. In più parte del mugugno di Nicolia sembrava aver a che fare proprio con la guida tecnica. Marozin era reduce da una stagione che non aveva soddisfatto. La sua squadra era entrata in finale di Coppa ed in finale scudetto, ma era stata surclassata dal Viareggio a giugno. Il fatto è che gli avevano costruito una fuoriserie (con Travasino ed Antezza) di fatto cambiando interpreti (pochi) e guida (Jordi Valverde) alla squadra Campione d’Italia 2010.
Marozin aveva quindi l’ingrato compito di dover assolutamente far meglio del suo predecessore e di accontentare i tifosi, saliti sul carro del vincitore Valverde e non su quello della società (nota: società che ha gli stessi uomini osannati quest’anno). Non ci riuscì, forse non aveva la forza tagliata all’occasione. Ovviamente quando Nicolia aveva paventato l’addio non poteva che accadere una rivolta di piazza.
A settembre scrivevo: “Il Valdagno ha svaligiato Breganze, tanto da meritarsi il soprannome di Bregagno, ed ha una squadra meno esplosiva, piú compatta ed arcigna, "maroziniana" se passate il termine. Ha un sacco di gente peró abituata a sputar l’anima in campionato senza mai la soddisfazione di giocare in Europa. Andrá bene (terzo) se Carlos fará il papá motivato, se Juan Oviedo non fará il matto e se Chicco Rossi, vinta la timidezza, fará una ventina di gol. “
Non era certo un’ammissione di fiducia per il tecnico. Ad ottobre ribadivo: “Ci sono un sacco di amici fiduciosi che si arrabbiano perché non prevedo un grande avvenire a questa squadra, soprattutto dopo la grintosa prova in Supercoppa. Probabilmente l’anno scorso mi ero troppo esaltato per il 10-3 contro il Porto e quell’hockey stellare; quest’anno non voglio scottarmi la tastiera, anzitempo, pronto a cospargermi la testa di cenere se avró sbagliato.
Il Valdagno, che ho battezzato Bregagno per il "saccheggio" di giocatori fatto quest’estate, si é trasformato nella squadra del gruppo di Marozin, in cui inserire Rigo, Tataranni, Nicolia, Randon ed Oviedo, metá effettivi ed ex campioni d’Italia; due gruppi al prezzo di uno. A voler essere pignoli non pare una buona idea ricreare un gruppo monocorde, autore di brillanti campionati a Trissino e Breganze senza mai avere un acuto che li portasse a qualche finale e senza mai confronti in Europa. Parlo di mentalità vincente da creare (non da ricreare) e di analisi motivazionali sul gruppo.”
A rinfrancare queste mie impressioni provvedeva anche l’ingaggio del prof. Maurizio Bertollo, psicologo dello sport, grande professionista di cui conoscevo alcuni lavori. Il suo impiego era allo stesso tempo una garanzia per la tentata creazione di un gruppo e l’ammissione che il tecnico faceva fatica a farselo da se. C’erano evidenti discrepanze:
“Abbiamo quindi una "capacità attuale", derivata anche oggettivamente da risultati e gratifiche, di cui il giocatore é conscio (e la reclama ... vedi Antezza 2010-2011), una "percezione della propria capacità" in relazione al gruppo ed una terza variabile: il clima motivazionale, creato da persone gerarchicamente influenti (es. l’allenatore) che fungono da moderatori tra la volontá del raggiungimento degli obiettivi individuali e quelli di tutti assieme.
L’interazione costruttiva tra questi tre elementi porta al perseguimento ed al raggiungimento degli obiettivi.”
Il vedere Carlos Nicolia tranquillo e attento non mi convinceva. Non avevo l’impressione che fosse motivato, ma che volesse dare l’idea del bravo ragazzo, dopo la rivolta estiva.
“In realtà mi ha preoccupato la vista di un attento ed ossequioso ragazzo che non vorrei interpretasse la parte del "cane bastonato". Parlo del nostro fenomeno, Carlos. Le note vicende estive lo hanno riaccolto nel gruppo. Bene, ma come? La società vuole che "faccia il bravo", ottimo, il tecnico vuole che "ascolti", perfetto, ma quali sono le motivazioni da offrire ad un campione cosí in gamba?”
“... Vi ricordate quando Prandelli diede la fascia di capitano a Cassano a Bari?
Simboli banali se volete, ma importanti nello sport. Ecco a me pare che se avessero fatto partire Carlos nello "starting five" da subito, magari per due minuti solo "visto che il ragazzo non ha fatto la preparazione con noi e quindi va in panca" (non così Tataranni comunque), se fosse arrivato questo piccolo, ma intelligente segnale, il Valdagno avrebbe fatto passi interessanti verso un miglior clima motivazionale. “
E Carlos partiva dalla panchina.
A un certo punto la società cambiò gerarchie interne e decise di avvicendare il tecnico. Il lavoro che attendeva il nuovo, Franco Vanzo anche lui un Bregagno, era complesso, tuttavia nessuno gli chiedeva di far miracoli ...:
“... quindi, la considerazione é la seguente: non si devono pretendere miracoli da Franco Vanzo se Tataranni e Nicolia non fanno almeno 40 gol a testa. Si deve pretendere che li faccia giocare e che permetta a Chicco Rossi di fare una ventina dei suoi gol e che soprattutto riesca a creare un gruppo unendo i due gruppi storici in pista al Palalido: i 5 ex campioni d’Italia + Rossi e i 5 ex breganzesi.”
Non ci credevo ma aspettavo di vedere Vanzo all’opera e la prima che vidi fu Valdagno-Ginevra di coppa, una partita difficile e nervosa, dove era ancora troppo presto per vedere gli effetti del cambio allenatore. Vidi però Carlos in starting five e cominciai ad intuire che Vanzo poteva essere la persona giusta.
Ci furono alti e bassi, con i panchinari fissi che non giocavano mai. La gente criticava Vanzo perché non dava cambi e perché non aveva una gran fase difensiva. A un certo punto non mi rimase che annuire all’affermazione stantia: ”Che si pretende? In fondo ha una squadra non creata per lui..”
Vanzo, gran canaglia, mi avrebbe opportunamente spernacchiato a dovere!
Oggi siamo qui a celebrare una vittoria di un gruppo, di una squadra e di una società (perché la dirigenza è parte significativa del gruppo) e di una persona che afferma di contare solo per un 30% nella dinamica del gruppo stesso. Tuttavia è un 30% altamente qualitativo, creato da gennaio a giugno 2012, tra esaltanti vittorie in rimonta e forti delusioni. Franco ha sempre lavorato... e lavorato ancora... sotto traccia, senza echi sulla stampa, credendo nel suo progetto; così ci credevano i giocatori ed i tifosi più vicini alla squadra. Gli analisti no, siamo sinceri, non ci credevamo molto.
Per questo voglio ringraziare Franco Vanzo per avermi fatto capire che dovevo avere pazienza e fiducia. Io, come San Tommaso, iniziavo a intuire strani segnali di cambiamento quando vedevo muoversi meglio i giocatori della panchina storica (Tonchi, Randon, Cocco, Rossi ma anche il Tatagol) e iniziavo ad avere fede SOLO dopo la partita interna contro il Forte. Era la terzultima partita della Regular Season, cui sarebbe seguita la strana trasferta di Prato, prima di essere i quarti in classifica. Troppo tardi per essere assolto d’incredulità, troppo tardi per non aver capito, dagli spalti, che si stava creando un gruppo conscio dei propri obiettivi.
Allora Franco Vanzo grazie per avermi spernacchiato sul campo. Ora però accetta la sfida dello squadrone e del nuovo gruppo da ricreare... o finisce che, se te ne vai, ti “buco le gomme dell’auto”. In fondo Mister Hockey sei tu ora. Tutti abbiamo un lavoro impegnativo ed una famiglia adorabile, ma l’hockey pista ha solo un Franco Vanzo... e non bisogna perderlo.