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La stagione emozionale dell'hockey su pista... vista da un valdagnese


Raccontare una stagione sportiva dal punto di vista motorio, sportivo non è difficile. Basta usare numeri, dati, statistiche, incassi, cronaca, tafferugli, cori malnati e petardi. Per me è più affascinante raccontare una stagione “emozionale”, sensoriale vissuta con l’altalena delle sensazioni che uno sport come l’hockey pista può dare, belle o brutte che siano.

Scritto da Enrico Acerbi - Pubblicato il 14/06/2012 - 11:09 - Ultima modifica 23/06/2012 - 16:35

L’idea è creare un album d’immagini, una specie di film del campionato dai colori forti e vivaci, come le luci gialle di Monet o i cieli di Munch. Il fine è quello che resti qualcosa di prezioso nel tascapane dei ricordi e non solo polemiche o strascichi biliosi.
A scuola si pensava che i sensi fossero cinque, tanto che a volte si evocava il “sesto senso”, una sorta d’intuizione primordiale che guidava le azioni in determinate occasione. Oggi sappiamo che i sensi sono molti di più.
Vorrei, allora, provare a guardare la serie A1 2011-2012 con il filtro della lente sensoriale; solo un gioco, nulla più ma tante immagini che resteranno nel mio personale hard-disk .. e nel cuore.

La Vista è sicuramente la madre dei sensi. Ho visto in pista cose incredibili, giocate da urlo di Carlos Nicolia (ma anche di Mattia Cocco), di Domenico Illuzzi, del Maestro Dario Gimenez, di Angelo De Palma, di Nico. Non posso dimenticare la grinta e la bravura di Mirko e Ale Bertolucci (e la sua sfortuna traumatologica assieme ad una scarsa preparazione nella lotta alle formiche) e Alvaro Borja del Forte. Chissà poi quante altre prodezze non sono riuscito a vedere costretto dal suolo vicentino. Ho visto le entusiamanti rimonte del Valdagno, una magica partita ad Oporto ed anche le prodezze di Sergio Festa a Lodi.
C’è un’immagine però che supera ogni altro ricordo in me: l’irridente freddezza di Chicco Rossi nel segnare un tiro libero, un alza e “tocca” mondiale da urlo (fatelo giocare quel ragazzo, vi prego).

L’Udito mi fa venire a mente i cori delle curve. Alcuni mi hanno veramente fatto indignare, la stragrande maggioranza mi ha fatto anche divertire. Vorrei fare una Nomination per il coro più curioso dell’anno, più che un coro un incitamente cadenzato fatto da tifosi di cui ho ammirato sportività e classe. Mai sentito una acronimo in coro, ma è stato sorprendente: “Afipì .. Afipì ... Afipì !!” a Trissino.

Olfatto e Gusto c’entrano poco con l’hockey. Personalmente posso solo associarli all’invitante profumo delle salsicce alla griglia di Giulio al Palalido ed alla birra, che ho ripreso a gustare dopo anni di “astemiaggio”. Sono sensazioni molto personali, che saranno ovviamente diverse nelle varie piazze ... ma quel profumo di salsicce erano il segnale dell’hockey!
In tema di olfatto vorrei anche segnalare, a naso mio, qual è il giocatore che vorrei sempre avere in una mia squadra. Non è una stella (lo diverrà), è un ragazzo umile che non si arrabbia mai, ma ha una grinta unica e lavora per quattro (spesso segna tra l’altro). Ha giocato con il Matera nel 2012: Exequiel Tamborindegui, per me “El Hombre de la Temporada”.

E cosa si può dire del Tatto? Personalmente il tatto mi ricorda qualche carezza nei capelli di una bimba triste per le sconfitte dei propri eroi.
In altri casi il tatto è stato usato come metafora ad indicare l’opportunità di riflettere su qualche azione che poteva dar fastidio a qualcuno. Immaginate che qualcuno sogni di voler far nascere una nuova società (chiamiamola genericamente Virtus), per far giocare i giovani e per far allenare qualcuno che è fuori dal giro, in piena collaborazione (nelle intenzioni reali) con la realtà storica locale. L’attacco multicentrico dei difensori del monopolio imperiale e dei loro pretoriani (ancor prima di incontri chiarificatori) hanno fatto fare qualche retromarcia e consigliato di usare tatto... appunto. Ma l’idea non è in fondo al mare (all’Agno) e arde come una brace coperta.

Il caldo o il freddo ovvero la Termopercezione si scambiano spesso per sensazioni ma sono sensi, mediati da cosiddetti termoricettori: i corpuscoli di Ruffini (senza la a), per il caldo, sollecitati pesantemente da arbitri più abili a mostrare carte, come novelli Silvan, con conseguenti vampate di collera passionale sugli spalti; i corpuscoli di Krause (non di Kumbre), per il freddo, sensazione associata ad un allenatore passato qui da noi, senza aver scaldato i cuori.

Anche il Dolore oggi è considerato un senso. Ci sono dolori che non si possono commentare ma che vanno solo scritti nella memoria. Come esempio voglio citare un vecchio e un bambino, un’antica canzone di Francesco Guccini: Angiolino Castiglionesi, un maestro dell’hockey Prato, e Max, portiere ragazzo del Sarzana, ambedue scomparsi a causa di incidenti. Mi piace pensare che si “tengon per mano per andare incontro alla sera” come nella canzone, ognuno con la sua stecca a fianco.

Ci sono poi dolori meno gravi, ma che lasciano profonde ferite nell’animo e nella psiche umana. Qui inizia un’altra storia di hockey.
In Argentina esiste una regione detta Cuyo, collinare e montana, fatta di gente che non ha paura del sudore e che ha imparato l’arte del vino da un valdagnese antico, Antonio Tomba, emigrante a Godoy Cruz quando ancora si chiamava General Belgrano. Oggi Godoy Cruz è in pratica un quartierone della Grande Mendoza dove il legame con l’Italia veneto-piemontese è talmente vivo da aver generato una squadra di hockey chiamata Casa de Italia; maglietta rigorosamente tricolore.
Da quella squadra arriva da noi un ragazzotto timido dallo sguardo buono, Leonardo Zabala, raggiunge Giovinazzo ma là non piace a nessuno. Nonostante l’aiuto dei compatrioti biancoverdi a gennaio viene “tagliato” e si allena “segretamente” nella vicina Molfetta (da cui l’AFP preleverà la stella Fernandez, cileno). Il suo impegno per eliminare l’etichetta di giocatore non eccezionale ha cozzato contro chi non ha avuto tempo di attendere il passare della “nostalgia fuerte” che spesso coglie i sudamericani più sensibili quando cambiano emisfero. Ma anche Molfetta cede le armi e Leonardo cerca un accordo con il Seregno, all’ubertoso nord ... ma al momento di entrare in pista la squadra lombarda si ritira dal campionato.
A Leonardo non rimane che un triste ritorno a casa e il rammarico di non aver potuto dimostrato il suo vero valore.
A Seregno ha vissuto il suo personale dolore anche il portiere Mauro Puzzella, ex valdagnese, tanto forte che a Lodi si vantavano di fargli cori contro per innervosirlo. Ha lasciato Molfetta perché non si fidava più delle promesse economiche (a ragion veduta col senno di poi) e si è accasato a Seregno.
Lì gioca metà stagione poi si scioglie nel vento come la società ... simbolo di “malasuerte”.
Abbracciai e salutai Mauro a Montecchio Precalcino nel preliminare di Coppa Italia, ma non mi pareva felice. Aveva un sorriso triste come alcuni suoi compagni: Gonzalo reduce da un serio infortunio, l’eterno squalificato Victor, il pirata che poi guiderà fino a una bella salvezza., come una veloce freccia, la muta degli Husky del Trissino. Non era un malessere passeggero e alcuni mesi dopo capii il perché.

Un altro senso è la Propriocezione, ovvero la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista. Questo mi ricorda Massimo Cunegatti e la sua strabiliante naturalezza nel parare con lo sguardo fisso in avanti. Ho visto una sola parata degna di tanto maestro: Riccardo Gnata che toglie una palla dal sette con la stecca, impagabile!

Lo scritto parla di emozioni e anche la delusione fa parte del programma. Provo una forte delusione per moltissime prestazioni arbitrali, la maggioranza. A volte ha rasentato l’attivazione del labirinto, del senso della mancanza d’equilibrio che porta alla nausea.
Mio papà, preside di scuola media, mi diceva: “Quando hai una classe con tanti somari, l’insegnante dovrebbe fare una forte riflessione e considerare se la colpa è anche sua.”
Non so se qui abbiamo insegnanti ... o designatori. Una riflessione profonda ed un approfondimento sugli aspetti psicologici della direzione di gara credo sia auspicabile; detto con tutto il rispetto per le persone e per la difficoltà del loro compito.

Infine voglio dedicare un capitolo a ciò che più ha colpito e fatto partecipe il mio animo, gettandolo in mischia a 1000 km di distanza dal Veneto.
Il sesto senso o immagini del cuore
Un appassionato crede che i giocatori di hockey siano ragazzini allegri, festaioli, appassionati di playstation e che questi siano contrapposti a vetuste vecchie glorie che, grazie al fisico, ancora sanno dirigere la palla con maestria ed esperienza.
C’è una categoria intermedia di giocatori, che potremmo definire i dopolavoristi. Non sono “superstars”, si allenano dopo il lavoro e spesso nemmeno riescono a farlo sempre, a volte devono saltare le trasferte di martedì perché il giorno dopo devono essere in ufficio o in fabbrica. Sono quelli che hanno meno soldi dall’hockey (o zero), ma che spesso hanno più cuore. Sono quelli che al bar, felici davanti ad un caffé offerto, si aprono in confessioni sincere e spregiudicate... e lì devi scordare di essere un giornalista.

“Sono le 20:30 e qualcuno chiede:
- Ma Tizio lo sa che è in ritardo?
Tizio alle 20.30 finiva la sua lezione in piscina (il suo lavoro). Si sapeva benissimo che Tizio sarebbe arrivato alle 20.35, in due minuti si sarebbe cambiato, avrebbe calzato i pattini, parastinchi e ginocchiere e alle 20.37 sarebbe stato regolarmente in pista. Ricordano la sua domanda agli operatori del servizio sanitario: “Avete con voi un defibrillatore?”
Storie di hockey, storie che passano dal grottesco alla commozione purissima, storie di passione e orgoglio mosse dalla speranza, con la mente che sa di una malattia terminale. Eppure arrivare in fondo per la bandiera, per i colori della squadra che amano (ma non per la città che li ha abbandonati) fa fare pazzie e fa prendere decisioni al limite dell’irresponsabilità.
Già, sto parlando dell’Hockey Molfetta e dell’incredibile sua stagione da epopea d’altri tempi, dell’orgoglio di essere povero sapendo di poter dare un esempio. Onofrio il Cinese, che per alleviare i dolori andava avanti a bustine di analgesici, Gigi Marzella che, dalla gara contro il Sarzana, giocava con una costola incrinata, Gigi capitano Boccassini che, con un piede tumefatto, sudava sette camice per calzare il suo pattino, e quando diceva al Mister “il piede mi fa male da morire!” l’allenatore rispondeva: “Luì, meglio a te che a me” ... e allora capiva che doveva soffrire in silenzio. Così soffrivano tutti in silenzio Picca, Belgiovine, De Ceglie, i due Angione, Pepe, Camporeale, Ferri e Giuseppe De Palma, bastonati e umiliati in trasferta ma a testa alta a casa.
Come diceva Dan Peterson, “Per me Numero Uno!” E mi perdoni l’Amatori Lodi dei record, ma Molfetta è “the Team of the Year 2011-2012”. La loro storia “olimpica” merita di essere tramandata dai nonni ai nipoti e così, come celebra il celebre coro della curva di Liverpool, “You'll Never Walk Alone”, “Non camminerete mai da soli” piccoli eroi sconfitti in pista!

Uno di loro, l’orgoglioso Maurizio Sinisi così ricorda la sua stagione.
“É stato un onore giocare per l 'ennesima volta per l Hockey Molfetta, giocare nelle difficoltà , giocare in una situzione non facile , giocare solo per l'amore di questo sport e per lo stemma dell' hockey molfetta .
E' stata una stagione fantastica la più bella di sempre, perchè giocare quando tutto è un casino attorno, la strada è difficile, bè è davvero bello.
Magari sono mancato nelle situazioni dove si doveva giocare la partita, forse mi facevo prendere dalla pressione (purtroppo è anche frutto credo dell'età e dell'esperienza), mi esaltavo quando si giocava con grandi squadre, vedere giocatori professionisti tremare davanti a me e ai miei compagni senza allenamento.
Bè è questa la nostra vittoria più importante e spero serva a far riflettere parecchie persone ... bello essere stato nella vostra nave, bello davvero , non mi aspettavo di giocare a volte in un modo così positivo. Peccato forse potevo dare davvero di più, molto di più, ma era davvero difficile senza allenamento rimanere nella massima serie ...”.

Grazie Maurizio per questa pagina di passione ed umiltà. É questo “sesto senso” che mi fa amare l’hockey pur nelle sue molteplici contraddizioni.

Parole chiave: Serie A1, Enrico Acerbi,
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