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Colamaria: "Adesso i club facciano giocare questi ragazzi"


Dopo avere riportato l'Italia under 17 sul podio europeo, Tommaso Colamaria fa il punto sul lavoro svolto con la squadra azzurra. Tanti i motivi di soddisfazione, ma anche qualche preoccupazione per il futuro dei "suoi" ragazzi che per crescere dovrebbero trovare spazio nei propri club. E per il futuro la voglia di dare ancora il suo contributo per il rilancio dell'hockey italiano.

Scritto da Redazione - Pubblicato il 15/09/2011 - 17:38 - Ultima modifica 24/09/2011 - 23:59

L\'allenatore della nazionale Under 17 Tommaso Colamaria

Foto Il cittadino di Monza e Brianza

La nazionale italiana under 17 ha scaldato i cuori dei tifosi azzurri in questo lungo mese di settembre tutto incentrato sugli impegni internazionali delle nostre squadre. La partita "alla pari" con la Spagna, i successi del girone di qualificazione, la sconfitta con il Portogallo in semifinale e infine la medaglia di bronzo strappata alla Germania sono stati un crescendo che ha portato alla ribalta un gruppo di ragazzi su cui la Fihp scommette per il rilancio del nostro hockey. 
A guidarli in questa avventura svizzera è stato uno dei grandi dell'hockey italiano di sempre, Tommaso Colamaria, per la prima volta alla guida dell'Italia under 17. Lo abbiamo raggiunto a qualche giorno dal bronzo ginevrino per chiedere un suo parere su questa esperienza azzurra.

Smaltita l'adrenalina di Ginevra, qual è il tuo giudizio a freddo sul campionato europeo under 17?
"Dò un giustizio positivo dei risultati conseguiti a Ginevra. Considerate tutte le incognite che c'erano quando abbiamo iniziato il nostro percorso, il punto a cui siamo arrivati non è male.
E' positivo il terzo posto raggiunto, ma anche i singoli risultati gara per gara perchè non abbiamo sofferto con nazioni con le quali non dobbiamo soffrire e abbiamo fatto bene contro le grandi. I ragazzi hanno avuto un approccio positivo all'Europeo nel suo complesso e alle singole partite partite e hanno saputo stare diligentemente in campo, senza tarpare le iniziative personali che alla loro età sono importanti. Abbiamo indirizzato tatticamente la partita come volevamo noi con Spagna e Portogallo che sono squadre superiori a noi. Il rammarico è quello di non aver raggiunto la finale. Dal punto di vista tattico e delle individualità abbiamo le potenzialità per fare meglio anche di Spagna e Portogallo. Sono soddisfatto soprattutto per avere avuto la conferma che questi ragazzi hanno testa e cuore. E' la cosa che porto con più gioia da questa esperienza".

Hai qualche rammarico, qualche cosa da rimproverarti, qualche scelta che non rifaresti?
"Se avessimo giocato in altro modo con Andorra, con meno paura dell'esordio, e con la Germania, senza subire gli effetti del primo gol, avendo in testa l'obiettivo di massimizzare la nostra differenza reti avremmo potuto raggiungere la finale. Se fossimo passati come primi del girone, contro ogni pronostico, sarebbe stato, forse, un altro europeo. Dal punto di vista delle scelte tecniche e tattiche non cambierei nulla. Abbiamo giocato ogni partita con un disegno predefinito che abbiamo messo a punto giorno per giorno. La più grossa soddisfazione è stato vedere che questi ragazzi sono in grado di mettere in pratica quello che gli si chiede".

Secondo te da che cosa è originata la differenza tra i nostri u17 e quelli di Portogallo e Spagna?
"Loro fanno un lavoro continuo durante l'anno. Hanno un programma nel quale tutti credono e per il quale tutti lavorano e che dura negli anni. E' diffiicile creare una identità in pochi mesi. E' quello che abbiamo cercato di fare durante la preparazione, e ci siamo riusciti solo grazie alla dedizione dei ragazzi. Spagnoli e portoghesi hanno un ritmo superiore al nostro perchè hanno una scuola nazionale che definisce le caratteristiche del loro gioco. Se vogliamo raggiungere dei risultati dobbiamo mettere da parte i campanilismi e unire il meglio delle nostre culture: correre senza pensare non serve a niente. Noi abbiamo la possibilità di portare i nostri atleti a correre e pensare. A volte bisogna correre di più con il cervello che con le gambe e altre servono le gambe per raggiungere l'obiettivo".

Una squadra U17 non è una squadra di adulti. Che rapporto hai costruito con i ragazzi e in che modo?
"E' una risposta complessa. Ho fatto capire loro che il rispetto non è dare del lei all'allenatore, ma avere rispetto del ruolo e del lavoro che tutti abbiamo fatto. Ho cercato di far capire loro che sono fortunati rispetto ad altri, ma hanno dovuto dare tanto per godere di questa fortuna. Si sono comportati da adulti e hanno acquisito l'abitudine a preparare le partite, a capire il perchè di un esercizio o di una fase di gioco a insistere in modo maniacale sui particolari. Alla fine sono stati trattati da adulti: sono aspiranti uomini e aspiranti giocatori di hockey. Abbiamo cercato di fargli capire che sono i migliori, ma che da soli non vanno da nessuna parte.
In queste settimane di lavoro insieme abbiamo parlato di cultura generale, guardato film, partite, parlato di hockey e della sua storia, di Livramento che nessuno conosceva; non sapevano nemmeno chi era e dove giocava il loro allenatore. C'è stato un coinvolgimento totale e questo li ha portati a vivere una dimensione diversa da quella dei club".

Quanto ha contato il tempo messo a disposizione dal progetto campioni 2015 e che modifiche bisognerebbe apportare?
"Di tempo ogni allenatore ne vorrebbe tanto e quello che abbiamo avuto a disposizione è stato parecchio. Egoisticamente, da allenatore della nazionale, bisognerebbe utilizzare il tempo a disposizione per l'alto livello per preparare meglio il campionato europeo, arrivando prima alla selezione della squadra e lavorare di più con un gruppo ristretto. Noi abbiamo lavorato molto sui fondamentali, che servono, ma questo ha costretto a tagliare sulle soluzione di squadra e sulla tattica. Inoltre occorre trovare modalità di lavoro che consentano di avere continuità durante la stagione, anche in collaborazione con i club e con i loro tecnici, e un unico filo conduttore tra le nazionali così che il passaggio da una nazionale a quella superiore sia un fatto naturale e non uno stravolgimento".

Per fare crescere i ragazzi che hai incontrato, cosa dovrebbero fare i club di appartenenza?
"Farli giocare. Non ho paura di scontrami con nessuno nel dire che questi ragazzi possono giocare anche con gente più grande di loro. Io ho chiesto loro di tornare a casa a testa alta, ma di essere modesti. Ho detto loro di chiedere ai club di poter giocare. La squadra U17 della Spagna, con cui i nostri ragazzi hanno pareggiato, starebbe bene nel campionato di serie A1. Rispetto ai loro coetanei italiani, gli under 17 spagnoli e portoghesi giocano molto di più. Bisogna fare giocare i nostri nelle categorie superiori perchè devono fare esperienza. La mia generazione è cresciuta tutta così: trattiamoli di più da adulti per farli crescere.
Permettimi di ringraziare tutti gli amici che hanno accettato di fare amichevoli con noi dimostrando di non snobbare una nazionale giovanile, considerandola come un bene comune. Ringrazio anche chi ha pensato che la nazionale è un affare per pochi e, pur potendo, ha scelto di non fare amichevoli con noi e di non aiutarci".

Qual è il tuo futuro con la nazionale U17?
"Non lo so. Io ho accettato la panchina dell'under 17 senza condizioni come mi era stato chiesto. Ho fatto del mio meglio non mancando mai agli allenamenti e mettendo tutto il resto del mondo fuori da questo impegno perchè a questi ragazzi bisogna dare tutto. Non sta a me giudicare il lavoro che ho fatto assieme a tutto il mio staff. A me l'hockey ha dato tantitissimo e per me questo è un modo di restituire una parte di quello che questo sport mi ha regalato".

Parole chiave: Nazionale U17, Europeo Ginevra, Italia, Tommaso Colamaria, Intervista,
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