Appena qualche settimana fa l'intero mondo dell'hockey su pista italiano si era sentito offeso per essere stato affiancato al calcio in tema di comportamenti violenti delle tifoserie. Un paragone che si leggeva chiaro in due prese di posizione della questura di Vicenza: il divieto di organizzare a Valdagno una semifinale di coppa Italia e il divieto ai tifosi del Follonica di seguire in trasferta la propria squadra nel concentramento di coppa di Breganze.
Ne venne fuori una valanga di polemiche e di rivendicazioni riassumibili in una sola frase: in quanto a comportamenti violenti, l'hockey non è il calcio.
Per andarlo a raccontare oggi al questore di Vicenza ci vuole uno davvero bravo e con la faccia di bronzo.
Perchè, fatte le debite proporzioni numeriche, quello che è successo martedì sera fuori dalla vecchia pista Lido di Valdagno, conferma tutti i "pregiudizi" che la questura di Vicenza ha dimostrato di avere sul nostro sport.
Forse, però, è ora di smetterla di chiamarli "pregiudizi". E' meglio chiamarle "informazioni certe e verificate".
La sassaiola con cui sono stati salutati tifosi e giocatori del Viareggio non è stata opera di pochi scalmanati e sarebbe sbagliato ridurla a questo per perseguire ancora quell'ormai indimostrabile teorema "noi non siamo come il calcio". Forse non è nemmeno stata un'azione occasionale, figlia di quanto accaduto all'interno della pista Lido, sul campo da gioco o sulle tribune, ma questo è un dettaglio che toccherà ad altri accertare. Di certo, l'immagine dell'hockey su pista esce a pezzi da questo episodio che non può essere derubricato a fatto occasionale.
Sul fronte della giustizia sportiva l'hockey ha dato una prima risposta squalificando per un turno la pista del Valdagno, di fatto mandando in pensione anticipata la gloriosa pista Lido (a gennaio è prevista la consegna del nuovo palasport) e costringendo la società vicentina a giocare in campo neutro, ad almeno 100 km da Valdagno e a porte chiuse, la partita contro il Giovinazzo.
Se fosse tutto qui, però, la risposta del "sistema" sarebbe del tutto insufficiente.
L'hockey su pista sta vivendo un momento di forte crescita nei favori del pubblico. Coinvolge giovani e famiglie e non può permettersi il lusso che anche uno solo di questi spettatori abbia paura a mettere piede in un palasport.
La tenuta dell'ordine pubblico è certamente compito dei competenti organi dello stato, ma occorre mettere tutti nelle migliori condizioni per raggiungere risultati condivisi.
Buona parte dei nostri palasport di serie A non sono impianti sicuri perchè non sono stati pensati e costruiti per ospitare tifoserie opposte. Così come sono stati definiti criteri numerici per definire gli impianti in regola per la serie A1 (capienza di 800 persone che sale a 1500 per semifinali e finali), allo stesso modo occorre definire degli standard di sicurezza che vadano anche al di là delle vigenti norme di legge.
Ma anche le nostre società non sono pronte e, se non si svegliano rapidamente, rischiano di essere le prime vittime di questa recrudescenza. Le tifoserie che si macchiano di atti violenti (non solo il lancio di sassi contro i pullman "nemici", ma anche il lancio di oggetti in pista, gli sputi e tutto quello che va al di là di coreografie e cori) vanno spazzate via, interrompendo i rapporti, facendo di tutto per impedirne l'accesso ai palasport, rinunciando anche a significative quote di incassi.
Oggi, svanita quell'aurea di verginità che ci eravamo illusi di avere, abbiamo tutti il compito di fare la nostra parte contro i violenti che stanno trovando spazio sulle nostre tribune. Se non sarà così, prepariamoci: passerà poco tempo e il sogno collettivo che tutti stiamo vivendo si trasformerà nel nostro peggiore incubo.
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